Un elemento caratterizzante la riforma della crisi d’impresa e dell’insolvenza è l’introduzione di strumenti che consentano l’emersione tempestiva della crisi, nel presupposto che un intervento precoce possa aumentare la possibilità di risanamento aziendale.

Il legislatore della Riforma propone, per la prima volta, una definizione di crisi dell’impresa, distinguendola da quella di insolvenza e individuandola come uno stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza futura del debitore e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate.

Secondo il Codice della crisi costituiscono indicatori di crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa rilevabili attraverso appositi indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso. A questi fini, sono indici significativi quelli che misurano la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi. Costituiscono altresì indicatori di crisi ritardi nei pagamenti reiterati e significativi.

Al fine di fornire all’imprenditore e all’organo di controllo criteri quanto più oggettivi possibili, il legislatore ha quindi individuato all’interno dell’articolo 13 Cc due specifici indicatori della crisi, in presenza dei quali sia l’organo amministrativo, sia l’organo di controllo, ciascuno per quanto di rispettiva competenza, sono tenuti ad intraprendere le necessarie e idonee iniziative:

  • squilibri di carattere reddituale, patrimoniale e finanziario individuabili con l’ausilio di specifici indici.
  • reiterati e significativi ritardi nei pagamenti delle obbligazioni aziendali.

 

Gli squilibri reddituali, finanziari e patrimoniali

Il comma 1 dell’articolo 13 considera quali indicatori della crisi, gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale e finanziario rilevabili attraverso specifici indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno sei mesi successivi e delle prospettive della continuità aziendale per l’esercizio in corso. Il legislatore, peraltro, dispone che la valutazione degli squilibri non possa riguardare una generica fattispecie imprenditoriale ma debba essere rapportata alle specifiche caratteristiche dell’impresa e all’attività effettivamente svolta dal debitore.

Il legislatore opera una scelta di campo indicando, come indici rilevanti per l’emersione tempestiva della crisi, quelli che possano dare evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno sei mesi successivi e delle prospettive della continuità aziendale per l’esercizio in corso. Gli indicatori della crisi, quindi, richiedono una valutazione prospettica, fondata su elementi che troveranno realizzazione nel futuro. È questo, dunque, il motivo dell’individuazione del frame temporale (almeno sei mesi) all’interno del quale l’imprenditore deve costantemente monitorare la propria capacità prospettica di adempiere alle proprie obbligazioni e di mantenere la propria vitalità aziendale.

Al fine di rendere quanto più oggettiva possibile la verifica della sussistenza di squilibri rilevanti, il legislatore individua quali indici significativi quelli che siano in grado di misurare

  • la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare
  • l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi.

 

I ritardi nei pagamenti

Il legislatore individua, quale significativo indicatore della crisi la presenza di ripetuti e rilevanti ritardi nei pagamenti dei debiti aziendali.

Indicatori della crisi rilevanti saranno, quindi, sia l’esistenza di debiti scaduti da almeno sessanta giorni per un ammontare pari a oltre la metà dell’ammontare mensile delle retribuzioni, sia l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno centoventi giorni per un ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti.

 

L’individuazione degli indici di allerta

Il comma 2 dell’articolo 13 prevede che sia il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili a elaborare, con cadenza almeno triennale, gli indici di allerta previsti dal comma 1 del medesimo articolo, per ciascuna tipologia di attività economica secondo le classificazioni Istat, per poi sottoporli all’approvazione del ministero dello Sviluppo economico, che provvederà con apposito decreto.

L’elaborazione del Cndcec dovrà tenere conto delle migliori prassi nazionali e internazionali e dovrà considerare indici specifici per start-up innovative, Pmi innovative, per le società in liquidazione e per le imprese costituite da meno di due anni.

 

Gli indici “personalizzati”

Il legislatore, conscio che l’adozione di indici come quelli che saranno prodotti dal Cndcec possa risultare non sempre adeguata per determinate imprese, in ragione della specificità della loro struttura o delle modalità operative, all’ultimo comma dell’articolo 13, ha previsto per queste ultime la possibilità di disapplicare gli indici “standard” individuando in loro sostituzione indici di allerta personalizzati, che siano idonei a fare ragionevolmente presumere la sussistenza del suo stato di crisi.

La mancata adozione degli indici predisposti dal Cndcec non potrà essere arbitraria ma dovrà essere argomentata e motivata; l’impresa dovrà specificarne le ragioni nella nota integrativa al bilancio e ivi indicare gli indici di allerta che intende invece adottare, perché considerati maggiormente idonei a intercettare preventivamente l’eventuale stato di crisi.